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Lettera a Bolognini

Gentile Luigi Bolognini,

in replica all’articolo-inchiesta di lunedì 1 Settembre 2014, le scriviamo per offrire un contributo costruttivo al dibattito sulla musica. Siamo una band di quarantenni, quindi attiva nel giro della musica indipendente da qualche tempo. Ci chiamiamo My Sunday Spleen.

Premettiamo che non abbiamo alcun interesse a polemizzare sull’argomento, ma l’intento è quello di aiutare a fare chiarezza su una discussione che ci sta a cuore.

L’esperienza maturata nei locali ci dice che quanto letto nella sua inchiesta fotografa solo parzialmente la problematica di chi (nella fattispecie i gestori dei locali) cerca di “fare musica” a Milano.

Alcuni proprietari dei locali rumoreggiano, ma oltre a questo non vanno. Ciò che affermano è senz’altro vero: SIAE, una politica che fa fatica a conciliare ordine pubblico e “vita notturna”, la crisi dei consumi (che forse però è più crisi dei costumi). Tuttavia nelle lamentele esposte non c’è neanche uno straccio d’idea riguardo a che cosa loro farebbero per rilanciare la musica, visto che questa li aiuta a fare profitto.

Il perchè è presto detto: spesso la categoria dei gestori non ascolta nè i musicisti, nè le esigenze pubblico. I temi sul tavolo sono sempre i soliti: burocrazia, istituzioni assenti e Internet, il trend del momento, giacchè bisogna tirar fuori qualcosa di “nuovo”. Ma nella maggioranza dei locali non ci sono idee di direzione artistica, il tentativo di creare una scena musicale, un pensiero creativo o anche solo organizzativo che crei senso e contenuto.

Troppo comodo. L’interesse per la musica c’è, eccome. Basta vedere quante adesioni ci siano ai festival estivi o la quantità di gruppi nuovi che circolano per la rete. Dire che la musica è morta e che la gente socializza solo su Facebook è un luogo comune molto utile per dare la colpa a una situazione contingente senza assumersi responsabilità.  Ci sono locali che funzionano piuttosto bene: posti come il Magnolia o la Salumeria della Musica hanno prezzi popolari e un’ottima offerta. La Buca di San Vincenzo, il bar Verga, locali più piccoli dei precedenti, hanno un giro continuo e interessante anche per band emergenti.

Alcune delle realtà citate nell’articolo invece pretendono di proporre una formula stantia, magari avvalendosi del buon nome del locale, ma in realtà non investono nulla sui gruppi, che di fatto non vengono pagati o vengono pagati pochissimo.

La loro non è una buona offerta per il pubblico. Chiedete a chi suona: i musicisti sono lasciati da soli dall’arrivo nel locale fino a fine serata, senza la minima assistenza. Durante la performance non c’è quasi mai nessuno al banco dei suoni e molto spesso i locali  non sarebbero neanche adeguatamente attrezzati per fare musica (strumentazione, impianto, mixer, monitors, luci, insonorizzazione adeguata). Però le consumazioni durante le serate live costano parecchio di più che nelle serate senza musica. E perché, visto che i musicisti non vengono pagati?

Questa è la desolante situazione dei locali a Milano, peggiorata in maniera esponenziale negli ultimi vent’anni, senza omettere che nessuno obbliga questi signori a far musica a tutti i costi e se lo fanno è perchè ne traggono profitto speculando sulla voglia di esibirsi dei gruppi, sapendo di poter attingere a un immenso bacino, peraltro il più delle volte senza neanche curarsi della qualità dell’offerta.
My Sunday Spleen